Museo del tempo

Un viaggio alla scoperta di un "grande" brand

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IL MUSEO

La storia di un pennello può iniziare dall’ultimo capitolo, nel Museo del tempo della Pennelli Cinghiale.

Qui passato e presente sono indissolubilmente intrecciati: è un percorso della memoria che raccoglie documenti d’archivio, testimonianze, rarità di archeologia industriale, riconoscimenti (l’ultimo, non certo per importanza, è quello di Marchio Storico di interesse nazionale) oltre a contenuti multimediali e multisensoriali.

E la parola chiave che risalta nelle vicende del fondatore Alfredo Boldrini è contemporaneità: quel senso impalpabile, ma al tempo stesso concretissimo del mondo che si evolve, delle sensibilità che cambiano. Ed è la formula che ha dato vita a un “Love Brand”, quello che, secondo alcune teorie di marketing di inizio Duemila, è in grado di creare un relazione unica nel suo genere con i consumatori, relazione la cui fedeltà - e l’amore appunto - vanno ben oltre le scelte razionali.

Sulla base di questi stimoli, è stato spontaneo affidare il museo in divenire destinato a valorizzare il passato, l’oggi e il domani del brand, a un artista contemporaneo che attraverso le sue opere ha trasformato un semplice utensile come il pennello in un ready-made da museo.

È Duty Gorn che firma gli spazi qualificanti del percorso.

Il legame tra la sua arte e la fabbrica del “Grande Pennello” non necessita di molte spiegazioni: basta entrare alla Cinghiale per coglierne l’importanza, la complessità, l’originalità. E per capire anche come il Caso si diverta a realizzare formule vincenti, incrociando ispirazioni e storie lontane. Assieme all’installazione che introduce al Museo del tempo l’artista ha realizzato alcune opere, ne ha messo a disposizione altre e ha tracciato un’originale linea del tempo. Quindi non c’è una cesura tra l’elaborazione artistica che introduce e segue passo passo il cammino del fondatore. Il museo ne svela il lascito attualissimo fatto di produzione e visione.

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LE TECNOLOGIE

Un telefono da muro in bachelite, due macchine utensili anni ‘50 - ‘60, “pizze” con pellicole in bobine, casse in legno con scritte cinesi perse nel tempo e nello spazio geografico, pennelli memorabilia nella confezione originale: nel Museo del tempo non potevano mancare le tessere più rare del lunghissimo puzzle storico di Cinghiale.

Ce ne sono nella prima stanza (il telefono nasconde un piccolo gioco tecnologico: sollevandolo si può ascoltare l’introduzione alla visita) e altri sparsi all’ingresso e poi nel salone. Servono a testimoniare il costante rapporto tra l’azienda, le tecnologie più innovative e i mercati meno esplorati. Sin dagli albori l’innovazione è una costante.

Lo raccontano una macchina agganciatrice dei tardi anni Cinquanta, e una vibratrice di pochi anni dopo. Nella costruzione del museo, la prima macchina racconta al visitatore la storia dell’azienda, proiettando immagini e video di persone e fatti che la sua “memoria” ha registrato.

Le setole dalla Cina sono un’altra “novità” per un distretto abituato a ricavare le materie prime da mercati domestici.

Dagli anni Settanta anche il ricorso costante alla pubblicità sportiva, radiofonica, televisiva (come confermano le vecchie pizze di girato trovate in azienda e restaurate dalla Cineteca di Bologna) prende in contropiede molti imprenditori di allora.

Il 1980 è l’anno dell’introduzione dei computer. «Da un giorno all’altro ci dissero: buttate via le penne, ora si lavora solo sugli elaboratori elettronici» ricorda Leda Coazzoli, un’impiegata storica.

La fabbrica di Cicognara vanta una sostenibilità fatta di procedimenti concreti: per le produzioni sfrutta energia eolica certificata, la plastica dei secchi di pittura è riciclata e riciclabile, il legno dei manici dei nostri pennelli è FSC® e proviene da foreste gestite in maniera rispettosa della natura, la formula chimica della pittura al bicarbonato ha il 95% di ingredienti green.

Di pari passo corre l’aggiornamento tecnologico: l’esempio più recente è rappresentato dal nuovissimo impianto robotizzato a tecnologia 4.0 per produrre a ciclo completo 11.000 pennellesse al giorno.

La tecnologia è importante anche per il marketing e le vendite: nel nuovo showroom Cinghiale è presente un sistema integrato di telecamere ad alta definizione per consentire ai clienti di connettersi da qualsiasi parte del mondo per scegliere un nuovo prodotto, apprezzandone i minimi dettagli in versione “live”.

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IL RAGIONIERE

È un vero e proprio testamento professionale e personale la lunga conversazione con Sergio Parazzi, raccolta durante la preparazione del Museo del tempo.

“Il ragioniere” come lo chiamavano tutti in azienda era nato nel 1927 ed è scomparso nel giugno 2021 all’età di 94 anni. Era stato assunto nel pennellificio nel 1955 e ci è rimasto per 33 anni, divenendo quasi subito il braccio destro di Alfredo Boldrini: «Con lui ci siamo sempre dati del lei fino alla sua morte» raccontava in quel colloquio, una miniera di notizie sull’azienda, sul suo fondatore e sullo stesso Parazzi.

Cominciamo da lui, che proveniva da una famiglia numerosa e per questo era destinato, dopo la quinta elementare a finire le scuole nell’istituto di avviamento professionale di Castellucchio. Invece un’insegnante (la maestra Margonzi, mantovana) si oppose: «Questo ragazzo deve studiare». Così il piccolo Sergio fece le medie e ragioneria. Poi arrivarono la guerra, la prigionia, un po’ di lavori occasionali. Fino all’incontro col “signor Alfredo” che lo volle a tutti i costi nella sua impresa: «Veniva a casa mia la sera prima che io tornassi dal lavoro, mi parlava e cercava di convincermi». Alla fine Boldrini ci riuscì e iniziò uno stretto sodalizio professionale.

Parazzi ha assistito a ogni fase dello sviluppo dell’azienda: da quando partì con 6 dipendenti a quando arrivò a contarne 170. «Sin dall’inizio mettemmo tutti in regola e ci presero per pazzi perché non adottavamo vie traverse». Il ragioniere partecipa allo sviluppo tecnologico della Cinghiale prima con l’introduzione delle macchine, poi dei computer (già nel 1980).

Assieme al Commendatore si liberano del giogo delle banche locali e trovano interlocutori intelligenti negli istituti di credito che accompagnano il boom economico nazionale. Il suo ricordo di Boldrini è rispettoso, affettuoso e ricco di aneddoti: «In famiglia o tra gli amici lo chiamavano Pierino, io invece l’ho sempre chiamato Alfredo». Per anni, decenni, hanno lavorato alla scrivania uno di fronte all’altro: «Talvolta discutevamo ma non abbiamo mai litigato. Boldrini seguiva tutto della produzione, era un vero esperto di pennelli e gli bastava tenerli in mano per capirne le caratteristiche, i pregi, i difetti. E per fissarne il prezzo». E, dice ancora Parazzi: «Non usciva da un cliente senza un contratto. Aveva una grande capacità persuasiva». Il ragioniere è la persona che costruisce con le proprie mani il “Grande Pennello” della pubblicità e che assiste all’esplosione della popolarità della Cinghiale. Dopo una vita in azienda si dedicherà per una stagione alla politica, diventando sindaco di Viadana dal ‘93 al ‘97.

L’ultimo ricordo è per il suo mentore: «Boldrini era molto intelligente, capiva subito chi aveva di fronte ed era anche un generoso. Era un uomo che non si dimentica, che rimane impresso nelle persone».

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LE OPERAIE

Qualche volta i racconti di un testimone, i suoi ricordi di vita quotidiana, descrivono un’epoca meglio di un album di foto seppiate.

Luisa Passerini e Marisa Bertoli, oggi ultraottantenni, hanno partecipato dalla prima ora all’avventura della Pennelli Cinghiale. La loro memoria resta vivida e sicura nonostante il tempo passato. Entrambe sono state operaie nella vecchia fabbrica e poi nella nuova. Le accomuna anche il fatto di aver trovato marito e averci lavorato fianco a fianco nei capannoni di Cicognara. Terzo punto in comune, l’aver realizzato il sogno di una vita, comprare casa, grazie al sostegno di Boldrini e dei suoi collaboratori.

Luisa ricorda con precisione di essere stata assunta nel 1953. Per lei l’azienda ha rappresentato prima un luogo di riscatto sociale, poi di sicurezza per sé e per i figli. «Quando c’era da fare un inventario correvamo a proporci, perché ci pagavano lo straordinario. Quanto abbiamo lavorato, legando a mano i ciuffi di setole per i pennelli. Ma ci piaceva, avevamo bisogno di lavorare». E quando cominciano a desiderare di comprare una casa i soldi dell’anticipo glieli dà il signor Boldrini. E lei conserva con affetto la medaglia che l’azienda le dona quando va in pensione.

Anche Marisa entra in fabbrica negli anni Cinquanta e ci rimane fino al pensionamento. Il lavoro le consente di essere indipendente, una cosa importante per lei, alla quale terrà anche dopo essersi sposata. Il marito è un collega incontrato in fabbrica. Con lui metterà subito le cose in chiaro: «Guarda che continuerò a lavorare perché non voglio dipendere da nessuno». Non a caso è proprio lei a raccontare che, prima delle feste di Natale, quando uscivano dai cancelli della Cinghiale e incontravano le ragazze di altre fabbriche della zona, le colleghe le prendevano in giro: «A noi hanno regalato il panettone, a voi niente?». E Marisa rispondeva: «A noi hanno dato la tredicesima, che è meglio del panettone!».

Questa battuta non vale più di un trattato sul welfare?

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L'AZIONISTA

Questo capitolo della storia di Pennelli Cinghiale potrebbe anche intitolarsi: “L’arte di vendere”. L’azienda mantovana ha puntato sempre moltissimo sui propri “ambasciatori”, i rappresentanti sparsi un po’ in tutta Italia.

Pietro Rivoletti è stato uno di loro. Ha l’aspetto e i modi di un gentiluomo d’altri tempi, gli 84 anni non pesano sulla sua figura e la sua memoria farebbe invidia a un ragazzino. I suoi gesti sono calmi, come i toni, colorati da un filo di accento bolognese. Ha imparato l’arte di vendere direttamente da Boldrini che lo ha accompagnato nelle prime esperienze e gli ha tracciato la strada, come ha fatto per molti altri rappresentanti.

L’allievo ammette di non aver superato il maestro («Boldrini era imbattibile») ma di essersela cavata bene anche grazie ai consigli ricevuti: «Mi diceva che di fronte ai clienti io dovevo essere l’azionista della società per la quale lavoravo, non certo un semplice rappresentante. Io ero giovane e mi sentivo orgoglioso di tanta fiducia».

Il resto viene da sé: con la sua valigetta dei campioni il signor Pietro girerà in lungo e in largo l’Emilia Romagna, sarà un punto fermo nella partecipazione dell’azienda a fiere importanti, come il Salone internazionale dell’Edilizia di Bologna. Alla fine diventerà un decano dei venditori e un punto di riferimento per tutti. Ora ha passato il testimone al figlio, che segue le sue orme.

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IL FONDATORE

«Un ragazzo con pochi soldi e tanti sogni»: probabilmente non esiste un ritratto migliore del giovane Alfredo Boldrini. A descriverlo così è stato chi lo conosceva meglio di tutti, l’amore della sua vita, Valeria, la moglie.

Dell’infanzia e della giovinezza del fondatore della Pennelli Cinghiale si è a lungo scritto e parlato. Come in un celebre romanzo, il suo percorso umano e professionale si ricompone attraverso i frammenti di memoria di chi lo ha incontrato, di chi gli ha voluto bene, di chi lo ha ammirato oppure invidiato.

La biografia a più voci inizia quando Alfredo, nato nel 1920, ha appena sette anni e comincia a lavorare. Il carretto a cavalli che parte da Cicognara verso Sud è un ricordo comune di tanti amici e parenti del protagonista. C’è chi riferisce che, lasciando una campagna depressa dove si produceva soprattutto saggina, arrivava a Parma e nelle Apuane e col padre e il fratello si fermava sui piazzali delle chiese, la domenica, per vendere il carico di scope. «E non tornavano indietro fino a quando la merce non era esaurita». È un commercio umilissimo, ma gli serve per farsi le ossa. Finita la quinta elementare continua a lavoricchiare come può. Poi arriva la chiamata di leva. Boldrini finisce a Torino ma raccontano altri testimoni non usa la libera uscita per andare a ragazze. Lui affitta un locale, lo riempie di merce (ancora scope) e le piazza tra le casalinghe piemontesi. Quando torna dopo la guerra a Cicognara l’economia della scopa e del pennello è agli albori e Boldrini è tra i primi a gettarsi nel settore che conosce meglio, le scope.

Il primo nucleo della sua fabbrica è composto da 5 operaie e un ragioniere profugo dalmata.

Sembra poco, ma i decenni successivi segneranno un traguardo dietro l’altro per l’azienda mantovana. Il suo titolare rispecchia la figura emblematica del self made man padano di quegli anni. Non smetterà mai, nonostante il successo e il benessere, di conoscere uno ad uno i propri collaboratori, di informarsi sui loro bisogni e i loro crucci, sarà sempre pronto a insegnare ai suoi rappresentanti l’arte che conosce meglio di tutti, quella di vendere. Il suo fiuto è un tratto caratteristico che si ritrova in tutti i racconti su di lui.

La ricerca di mercati lontani e inesplorati è una sua prerogativa. È quell’istinto che lo porta ad andare fino in Cina per trovare materia prima pregiata per i pennelli. I suoi rapporti col Celeste Impero a guida maoista emergono nei documenti di Cinghiale, nelle casse rimaste che contenevano le setole. Non a caso, quando la Repubblica cinese stringe relazioni diplomatiche con l’Italia, all’apertura dell’ambasciata di Pechino a Roma è uno dei pochi industriali italiani invitati. Boldrini ne sarà sempre orgogliosissimo.

Tutto è cambiato, intanto a Cicognara. Sin dagli anni Settanta, la chiamano il “paese dei miliardari” (la definizione è tratta da un articolo dell’Espresso del 1971). Statisticamente il borgo dove si moltiplicano i pennellifici e le fabbriche di scope ha le stesse automobili per abitante che gli Stati Uniti. Un documentario seppellito nelle cineteche Rai (è un vecchio “Tv7”) mostra le stravaganti architetture di molte ville dei nuovi ricchi. Anche Boldrini si costruisce casa (linee severe, nessun fronzolo) a pochi passi dall’azienda. In paese si distingue perché veste sempre in giacca e cravatta, Borsalino d’ordinanza, d’estate in completo chiaro (Boldrini era convinto che l’abito fa il monaco, così regalava ai suoi rappresentanti il primo vestito elegante col quale andare dai clienti). Le sue auto sono all’altezza: Jaguar color avorio, una Lancia Aurelia fiammante e altri gioielli. Tra le sue debolezze ci sono la tavola («Gli piaceva mangiar bene, forse un contraltare agli stenti giovanili»), l’Inter e il Mantova, il vezzo di andare spesso dal barbiere che lo servirà per decenni e al quale consiglierà qualche buon titolo di Borsa. Il resto era lavoro e lavoro, condiviso con la consorte Valeria.

MOLTO PIÙ DI UNA MOGLIE

Un’azienda “familiare” può essere molte cose. Nel caso di Pennelli Cinghiale, il racconto non può prescindere dalla figura della signora Boldrini Valeria Madesani, classe 1922, figlia di un pescatore del Po, abitava da ragazza in una casa vicina al fiume. Era alta, slanciata, dai tratti orientali. Raccontava in famiglia che Alfredo andava a chiamarla la sera dalla finestra, cercando di non farsi sentire dai suoi genitori. Una notte, durante un incontro clandestino, lui le dice «Tieni, questo è per te» e le consegna qualcosa di malamente avvolto in un pezzo di carta. Al chiaro di luna riesce ad intravedere un piccolo orologio d’oro. Ne avrà molti altri, e preziosi, più tardi, ma lei porterà solo quello.

Valeria è una donna forte, combattiva. Viene rispettata e temuta dalle operaie della fabbrica, alle quali però porta il the delle 5, governa con piglio sicuro domestiche, governanti, tate, giardinieri. E tiene testa al marito. Mentre Alfredo è via per lavoro prende di nascosto la patente. Lui non era d’accordo, e quando torna è molto contrariato: all’epoca le donne non guidavano e Valeria è una delle prime a farlo. Ma alla fine la spunta lei, con la sua Alfa spider Valeria guida spesso fino a Cremona, si è sempre vantata di avere la stessa modista di Mina.
Elegantissima, spesso in lungo, ha un ruolo importante nel successo dell’azienda e un ritratto familiare la descrive meglio di mille parole: «Non era una nonnina come ci si potrebbe immaginare - dicono le nipoti - era più simile ad una regina d’Egitto».

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I RICONOSCIMENTI

Molti riconoscimenti hanno caratterizzato la lunga vita di Pennelli Cinghiale. Il Museo del tempo ha dedicato loro uno spazio, un capitolo storicamente necessario.

In altri tempi e in altri scenari economici, i premi ufficiali avevano un peso determinante nell’immagine di un’azienda e, per questo, Alfredo Boldrini ne era orgoglioso. L’industriale li usava come strumento di marketing inserendoli con grande evidenza nei propri cataloghi, sulla carta intestata e in tutte le comunicazioni ufficiali con i clienti.

Sono finiti nel palmares numerosi e ambiti premi, tra i quali l’Ambrogino d’oro (nel 1971), l’Europa Mec (1972) e il Mercurio d’Oro (la prima volta nel 1974). Il Premio Qualità Italia merita un discorso particolare: è assegnato in base ai sondaggi direttamente effettuati sui consumatori, quindi ha il pregio di arrivare dal pubblico. Un giudizio che il cavalier Boldrini, poi commendator Boldrini, prediligeva.

A proposito, per un uomo come lui, l’aver ottenuto dall’Italia il riconoscimento del suo fare (Cavaliere nel 1959, Commendatore nel 1977) era più importante di un paio di lauree.

Oggi il successo di un’azienda passa attraverso canali diversi, ma per la Pennelli Cinghiale, la linea non si è interrotta.

È del 2021 l’inclusione del brand di Cicognara nell’elenco dei Marchi storici di interesse nazionale da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Il riconoscimento è stato creato nel 2020 e nella ristretta cerchia di marchi che lo hanno figurano nomi come Benetton, Cirio, Amarena Fabbri, Poltrona Frau, Illy, Sergio Rossi e molti altri leader di settore.

Oggi le sorti del “Cinghiale”, sono state ereditate da un solido team tutto al femminile composto dalle nipoti di Alfredo Boldrini: Eleonora Calavalle, CEO e Clio Calavalle, e dalla loro mamma Catuscia Boldrini, Presidente.

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NON CI VUOLE UN PENNELLO GRANDE... MA UN GRANDE PENNELLO

Si usa la parola “icona” per definire lo spot del “Grande Pennello”, con l’imbianchino che pedala nel traffico di Milano. E non è un’esagerazione. Quel fulminante scambio di battute («Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello») è risultato inossidabile al tempo. Lo coniò Ignazio Colnaghi, in un giorno dell’82 che ancora molti ricordano nella fabbrica di Cicognara, perché lo gridò ad alta voce: «Ci siamo».

Colnaghi era da tempo una delle menti pensanti della pubblicità televisiva, che in quell’ Italia era ancora un settore emergente. Attore del Piccolo Teatro, doppiatore e ideatore di siparietti per Carosello, il creativo milanese aveva inventato e dato voce vent’anni prima al celeberrimo Calimero Pulcino nero e ai suoi due tormentoni: «Ava come lava» e «È un’ingiustizia però» che avevano toccato le corde giuste degli italiani.

Lo spot di “Cinghiale”, quindi, non arriva a caso o per fortuna, ma è frutto di una precisa scelta imprenditoriale di Boldrini, che investe sul meglio che c’è sul mercato e crede fino in fondo alle possibilità di penetrazione del mezzo televisivo. Gli studiosi di marketing hanno analizzato nei dettagli la modernità di quel breve filmato e hanno identificato alcuni canoni di qualità, funzionalità, visione: i protagonisti si muovono in un traffico vero che coinvolge chi guarda, la battuta consiste nello scambio di posizione di un aggettivo (pennello grande, grande pennello) che enfatizza la qualità sulla quantità, le figure del vigile e dell’imbianchino attingono direttamente alla realtà quotidiana e, pur in una scena che si potrebbe definire surreale per quel pennello gigante, sono immediatamente riconoscibili.

Lo spot ha un posto d’onore nel Museo del tempo dell’azienda. Ma scavando nel passato, tra le carte e i materiali conservati a Cicognara, si intuisce che è il punto più alto di un cammino iniziato molto prima. Boldrini ha creduto nella pubblicità e nell’immagine in anticipo su molti altri piccoli o medi industriali.

A cominciare dal simbolo del cinghiale che, a dire il vero come sanno gli addetti ai lavori, ha poco a che fare con la produzione diretta dei pennelli. Però è un nome fortemente evocativo.

E appena dopo arriva la tv. Nelle pellicole Cinghiale restaurate dal laboratorio “L’Immagine ritrovata”, forse il più qualificato d’Europa, legato alla Cineteca di Bologna, si trova il “girato” di sketch anni Settanta con mogliettine eleganti e mariti laboriosi, bimbi ingenuamente esultanti e poi, nel 1981, il grande attore milanese Piero Mazzarella.

L’arrivo del “Grande Pennello” segna l’esplosione del marchio in tutta Italia. E la sua onda lunga è ancora fortissima. Una prova: l’attore e indossatore Francesco Papi, che dava il volto al vigile, è tornato in piazza Castello, dove venne girato lo spot, vestito in uniforme e con un pennello in mano. In molti hanno riconosciuto il personaggio, compresi una coppia di giovani fidanzati che quando la pubblicità uscì non erano nemmeno nati.

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LA PASSIONE SPORTIVA

La visione di Alfredo Boldrini sul piano della comunicazione ha sempre messo in posizione rilevante lo sport in quanto passione di massa.

Consolidata l’azienda, l’imprenditore sceglierà vari canali mediatici: le sponsorizzazioni con squadre di ciclismo e gare automobilistiche, i cartelloni negli stadi, grazie alla collaborazione con Sandro Mazzola, uno dei suoi idoli, che allora ancora giocava nell’Inter, la squadra del cuore del patron mantovano.

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L'ARTISTA

Duty Gorn nasce a Milano, città dove attualmente vive e lavora. La sua produzione non si limita ai lavori su tela, ma si sviluppa anche in composizioni tridimensionali, opere murali e performance, esprimendo un’arte riconoscibile, vitale e ben delineata, sia nello stile sia nei soggetti rappresentati.

I suoi lavori vengono esposti in gallerie d’arte e spazi istituzionali.

www.dutygorn.com

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Polyeclectic

Acrilico su muro - 2022

Le linee sono state studiate per creare una distorsione temporale, creando così un dejàvu, il futuro ritorna con una familiarità verso il passato, un gioco del tempo che disturba il continuum dello spazio-tempo.

Upside down

Installazione - 2022

Lo scopo è di portare le persone dentro l’opera dando emozione e ricordi legati ai colori. Come racconta lo stesso artista: “Il progetto è frutto di una minuziosa ricerca e di un profondo senso estetico di reinterpretazione dei materiali, del loro utilizzo e ri-uso”. I pennelli usati per la realizzazione del Museo, sono stati trasformati in una nuova forma artistica, dandogli così una nuova vita.

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Retouché

Markers su vetro 60x80 cm - 2022

Le immagini in bianco e nero ripercorrono il legame storico tra Pennelli Cinghiale e lo sport. Una reinterpretazione delle immagini in chiave futuristica con tratti a markers che evocano un passato ancora presente.

Pennelli nel tempo

Acrilico su tele scomposte 159x162 cm - 2022

L’insieme delle opere segna un cambiamento, un’evoluzione che parte dalla storia. Si apre così una cronologia visiva intervallata da linee che, come le lancette dell’orologio, scandiscono il tempo. Uno sguardo tra passato e futuro.

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Abstraction

Acrilico, spray e markers su tele scomposte 455x150 cm - 2014

Una linea temporale della geologia acrilica. Ecco cosa rappresentano i volti scomposti da movimenti in quest’opera. L’opera si scompone, trasformandosi in qualcosa di diverso, frammento dopo frammento. Ogni mutamento è caratterizzato da una propria identità cromatica che permette all’osservatore di formulare una chiave di lettura soggettiva.

Il murale

Il murale, intitolato “Time Mirror”, si trova lungo la facciata dello stabilimento produttivo di Pennelli Cinghiale di Cicognara, visibile da via Milano 222, ed è stato realizzato unicamente con vernici, pennelli e rulli Cinghiale.

Un insieme di linee colorate e un volto femminile, elementi che da sempre contraddistinguono le sue opere.

Le pennellate e lo stile richiamano il graffitismo e i movimenti che hanno segnato la storia dell’arte del Novecento, primo fra tutti quello della Pop Art.

Le linee riprendono il percorso che Duty Gorn ha realizzato anche negli ambienti interni di Pennelli Cinghiale, formando così un percorso tra interno ed esterno: sono studiate per creare una distorsione temporale, un dejàvu, in cui il futuro ritorna con familiarità verso il passato, un gioco del tempo che disturba il continuum dello spaziotempo. Le linee colorate tagliano la superficie e si intersecano fra loro come raggi di luce che si dispiegano nello spazio oltrepassando i bordi per proseguire idealmente all’infinito. Creano un caos controllato in grado di generare un forte impatto estetico, che si rivela una pacificante soluzione al disordine del reale che ci circonda.

Il volto femminile, vero protagonista del murale, cattura l’attenzione dell’osservatore e lo trasporta nella propria dimensione vibrante di lampi di luce ed energia vitale, in un equilibrio perfetto con le linee di colore della superficie.

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Come visitare il Museo del tempo

Il Museo del tempo è visitabile su appuntamento dal Lunedì al Venerdì.

Potrai scoprire la storia del nostro brand e vedere dal vivo i documenti d’archivio, le testimonianze, le rarità di archeologia industriale e i riconoscimenti ottenuti, oltre alle straordinarie opere che l'artista Duty Gorn ha creato appositamente per noi.

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